I dati preoccupanti riguardanti i salari in Ticino non ci possono lasciare indifferenti.
Le retribuzioni basse hanno conseguenze profonde e durature sull’intero tessuto sociale del nostro Cantone. Colpiscono la vita quotidiana delle persone, minano la coesione sociale, compromettono le prospettive per i giovani e allo stesso tempo indeboliscono le finanze pubbliche, riducendo la capacità dello Stato nello svolgimento dei suoi compiti fondamentali.
L’analisi USTAT, «I salari nel 2022», conferma la crescita del divario salariale tra il nostro Cantone e il resto della Svizzera. Un divario che è andato progressivamente ad ampliarsi in questi ultimi anni, soprattutto nel terziario e nelle professioni scientifiche e tecniche. Una situazione, in particolare nei settori della finanza, della comunicazione, della ricerca e dell’informatica, che sta alla base della fuga o del non ritorno di molti e molte giovani.
Lo studio dell’Ufficio di Statistica dell’Unione Europea aggiunge che il 35% dei ticinesi è a rischio di povertà relativa, cioè a rischio di grave deprivazione materiale ed esclusione sociale. Accanto alla presenza di working poor, siamo confrontati con nuovi insidiosi fenomeni come la GIG economy, l’uberizzazione e la disoccupazione mascherata.
Le ragioni della fragilità economica del Ticino sono note: una regione “ostaggio della frontiera”, che ha sempre privilegiato la “rendita” e le attività speculative rispetto a quelle produttive. Ora il 25% delle persone non ha nemmeno un reddito sufficiente per pagare le imposte, mentre i redditi da capitale e le grandi sostanze milionarie non contribuiscono in misura sufficiente alle finanze cantonali. Il ceto medio, con un potere d’acquisto sempre più ridotto, sopporta il peso fiscale maggiore e le conseguenze di una politica scorretta, che taglia i servizi nella scuola, i sussidi cassa malati, gli aiuti sociali, gli investimenti e persino gli interventi d’urgenza contro le catastrofi ambientali.
Ci si ostina a concedere deduzioni di imposta ai super facoltosi, con l’illusione di un ipotetico “sgocciolamento”verso il basso (e nell’economia reale) di una ricchezza che in realtà rimane solo in alto, prevalentemente nei mercati finanziari, dove crea altra ricchezza che resta ai ricchi, aumentando le disuguaglianze. Palesemente contradditorio è voler indebolire lo Stato e al tempo stesso esigere dall’ente pubblico corposi investimenti nel privato.
I salari scorretti o insufficienti vanno aumentati e nelleaziende in cui il problema esiste va ridotto il divario tra le retribuzioni più alte e quelle più basse. Partendo dai bisogni dell’intera popolazione, andrebbe esatto un congruo contributo sui redditi da capitale e le sostanze milionarie delle persone fisiche super ricche, che in questi decenni hanno usufruito delle eccessive e ingiustificate esenzioni fiscali che sono state loro concesse.
Articolo apparso il 17 luglio 2025 sul Corriere del Ticino.